Lamberti Giovanni

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Lamberti Giovanni – Piena fiducia nella guerra al cancro

ima-lambertiSono trascorsi più di dieci anni da quell’intervento, che è sempre nei miei pensieri e nelle mie notti insonni, procurandomi al contempo angoscia e voglia di vivere.

Nelle mie vicissitudini di salute c’è, però, un antefatto. Era il 1940, il mondo stava cambiando volto a colpi di cannone, ed io, undicenne esuberante e atletico, per il fatto di vivere in ambienti umidi e poco o male riscaldati, mi ammalai di pleurite essudativa. Me la curò un medico ebreo, figura di grande umanità che poi venne deportato in un lager in Germania, cui non sopravvisse. Aspirava il liquido dai miei polmoni con una grossa siringa, aiutato da mia madre: una mamma è sempre un po’ infermiera. Mi confortava il fatto di essere a casa, nel mio letto. In seguito, con grandi sacrifici, i miei genitori mi mandarono per la convalescenza a Pietra Ligure, in quella magnifica struttura che era il “Città di Milano”. Otto mesi di cure, sole, riposo e dieta mirata mi rimisero in sesto, e potei tornare a praticare i miei sport preferiti: il calcio e l’alpinismo.

Dopo il burrascoso periodo della Guerra e della Liberazione, entrai nel Dazio come fattorino. Quando andai in pensione, nell’83, avevo raggiunto l’ottavo livello. Nel ’72 ero passato a quella che oggi è l’Agenzia delle Entrate. La mia è una natura contabile, sono nato per i numeri: la matematica mi è sempre piaciuta e mi piace ancora. E lavoro ancora: ho la partita IVA, pago regolarmente le tasse. Seguo la contabilità delle piccole aziende, curo i contratti di locazione. Le altre mie grandi passioni sono la fotografia e, come ho già detto, il calcio e l’alpinismo.

Ho fatto l’arbitro fino all’equivalente dell’attuale serie C. Figlio d’arte: mio padre era stato presidente della sezione provinciale della categoria. Tengo a precisare che nessuno ama questo sport come chi ha scelto il ruolo più ingrato. Come chi, pur avendo il fischietto, è il più fischiato (e non solo). Tifo Milan. Oggi guardo le partite in tv, comprese quelle internazionali. Ma è un mondo marcio, che fa schifo, incancrenito dal business. La montagna, almeno lei, ha salvaguardato integrità, purezza, conserva un certo incanto. È una palestra di vita, perché ti tempra, ti allena alla fatica, al coraggio, al rispetto di sé e dell’ambiente, alla lealtà, alla solidarietà. Sono socio del CAI di Cuneo dal 1950. Nel pieno delle forze, salii in cima al Bianco, al Cervino, al Rosa e, naturalmente, al re e alla regina della provincia Granda: il Viso e l’Argentera.

Col passare degli anni, un po’ per l’età e un po’ per pigrizia, ridussi il tempo dedicato all’attività fisica. Come di solito capita agli omoni che conducono una vita sedentaria, si manifestarono i primi sintomi dell’obesità. Siccome la cosa andava peggiorando, mi rivolsi al medico di famiglia, che concepiva il proprio lavoro non come un mestiere, ma come una missione. D’intesa con mia moglie, mi convinse a sostenere tutta una serie di esami di controllo, tra i quali una radiografia al torace che, con mia grande sorpresa, evidenziò una macchia, o meglio, un punto nero nel polmone destro. Li per lì pensai si trattasse di un residuo della pleurite contratta in gioventù. Ma poi rammentai che quel bravissimo medico ebreo era solito usare la grossa siringa sul polmone sinistro. Non ho mai fumato né bevuto liquori. Preoccupato quanto me per quella misteriosa macchia nera, il medico curante mi fece sottoporre ad una broncoscopia: un esame, per quanto antipatico e doloroso, che permise di osservare meglio i miei polmoni. Poi mi fecero una biopsia, cioè mi prelevarono un minuscolo campione che fu inviato all’anatomia patologica (dove fanno gli esami istologici) per un’analisi più approfondita. Da quest’analisi risultò che dovevo essere operato. Dovevo. Non c’era alternativa. Rifiutare significava spegnere la speranza di vivere ancora a lungo.

Alla vigilia del Natale 1994 mi presentai all’ospedale Santa Croce di Cuneo, ma la tensione e, perché no, la paura fecero impennare la mia pressione, sicché l’anestesista negò il suo consenso all’intervento. Mi mandarono a casa, e sfogai la tensione con lunghe passeggiate. Tornai all’ospedale dopo le feste, e stavolta, il 19 gennaio 1995, entrai in sala operatoria. Mi divaricarono le costole e mi asportarono dal polmone di destra una massa grossa come una noce, che fu inviato all’anatomia patologica per l’esame istologico definitivo. L’esito di parziale benignità (si trattava di un carcinoide del polmone) riempì di gioia me e la mia famiglia. Del periodo di degenza ricordo la ferita all’emicostato che non mi permetteva di riposare in posizione supina: per maggiore sicurezza, mi avevano asportato un pezzo di polmone apparentemente sano tutto intorno alla massa tumorale. Ma ricordo anche l’attenzione e la gentilezza del personale medico ed infermieristico che mi assistette.

In seguito, mi presero in cura i dottori Buccheri e Ferrigno di ALCASE Italia: da allora, periodicamente e con grande professionalità controllano i miei polmoni, senza aver più riscontrato nulla di patologico.

Nel 2004 ho perso una figlia. Si chiamava Tiziana, aveva 44 anni. Faceva l’ostetrica. È morta per un cancro alle ovaie. Si era laureata con 110 e lode, era bravissima, stimata e ben voluta da tutti. Non esiste tragedia più grande del sopravvivere ai propri figli. A confronto di un tale dolore, non sono nulla i pericoli, le tribolazioni, le angherie e le umiliazioni che avevo vissuto a cavallo tra l’ultimo periodo della guerra e i mesi successivi.

Si sarà certamente capito che non sono “farina da ostia”. Sono un polemista, uno che non ha paura di dire quello che pensa e lo dice senza mezzi termini. Uno portato per le diatribe d’ogni genere, un passionale. Seguo l’attualità, la politica, e a quasi 80 anni, dopo la vita che ho vissuto e qui per sommi capi narrato, ancora mi indigno per come vanno le cose in questo Paese, per l’ipocrisia, l’opportunismo e la corruzione dilaganti!

Tuttavia non vedo tutto nero. Alla luce della mia esperienza, ho fiducia e stima nei medici specializzati nelle malattie polmonari. Sono profondamente convinto che col tempo riusciranno a sconfiggere il vero male della nostra epoca: il cancro. Ancora un grazie alla scienza medica.

Il commento del dott. Buccheri

Per il Sig. Lamberti una storia a lieto fine, dopo che si era temuto il peggio. Più di dieci anni fa fu scoperto, casualmente, un piccolo tumore del polmone destro che fu asportato insieme con il suo lobo superiore che lo conteneva. Per fortuna, non si trattava di una forma veramente maligna. Si trattava, invece, di un carcinoide tipico. Il carcinoide è una rara forma tumorale, a parziale benignità, dal momento che non dà metastasi e solo raramente si trasforma in un tumore realmente aggressivo. È sempre necessaria una certa sorveglianza, ma è anche ragionevole concedersi una grande tranquillità.

 

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