Atezolizumab per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) non trattabile con chemioterapia a base di platino

Atezolizumab per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) non trattabile con chemioterapia a base di platino

Mentre si continuano a valutare le più diverse strategie di immunoterapia per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) e chi ci segue ricorderà le recentissime “pillole” dedicate al  nivolumab  (Opdivo ®) e al pembrolizumab  (Keytruda®), utilizzati nel peri-operatorio, un nuovo studio, appena pubblicato su “The Lancet”, l’IPSOS Study, riprende ad esplorare l’uso dell’immunoterapia.   Questa volta in un ambito completamente diverso e finora del tutto nuovo: quello dei pazienti inoperabili, per estensione della malattia, ma anche  fragili, per i quali non è indicata neanche la chemioterapia standard a base di platino.

Questo ampio e ben condotto studio internazionale conferma la validità dell’approccio immunoterapico, anche nella nuova indicazione terapeutica, utilizzando un diverso inibitore del check-point immunitario: l’atezolizumab.

In questo lavoro si dimostra che, in pazienti fragili, l’uso di atezolizumab, al posto della monochemioterapia tradizionale (i.e. vinorelbina e gemcitabina), per un cancro al polmone inoperabile d’emblée, è in grado di migliorare quasi tutti gli end-points considerati (sopravvivenza libera da progressione di malattia, sopravvivenza globale a 2 anni), inclusa la qualità di vita e la tossicità.

Segue la traduzione in italiano dell’abstract originale dello studio e il nostro commento.

Immunoterapia in pazienti fragili con NSCLC inoperabile. IPSOS study

RIASSUNTO:

PREMESSA
Nonostante i progressi dell’immunoterapia per i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) avanzato o metastatico, gli studi cardine di prima linea sinora eseguiti sono stati limitati ai pazienti con un performance status dell’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG PS) 0-1 e un’età media di 65 anni anni o meno. Abbiamo deciso perciò di confrontare l’efficacia e la sicurezza della monoterapia di prima linea con atezolizumab con la chemioterapia a singolo agente in pazienti non idonei alla chemioterapia a base di platino.

METODI
Questo studio di fase 3, non in doppio cieco, controllato e randomizzato, è stato condotto in 91 siti di 23 paesi in Asia, Europa, Nord America e Sud America. I pazienti eleggibili avevano un NSCLC in stadio IIIB o IV in cui la chemioterapia con doppietta di platino era stata ritenuta inadatta dallo sperimentatore a causa di un ECOG PS 2 o 3, o in alternativa  età pari o superiore a 70 anni con un ECOG PS 0-1 e comorbidità sostanziali, o avevano altre controindicazioni per la doppietta di chemioterapia contenente platino. I pazienti sono stati randomizzati, in rapporto di 2:1, mediante randomizzazione a blocco permutato (dimensione del blocco di sei) a ricevere 1200 mg di atezolizumab somministrato per via endovenosa ogni 3 settimane o chemioterapia a singolo agente (vinorelbina [orale o endovenosa] o gemcitabina [endovenosa]; dosaggio standard) a cicli di 3 o 4 settimane. L’endpoint primario era la sopravvivenza globale valutata nella popolazione “intent-to-treat.”  Le analisi di tossicità sono state condotte nella popolazione valutabile, che includeva tutti i pazienti randomizzati che hanno ricevuto una qualsiasi quantità di atezolizumab o chemioterapia. Questo studio è registrato su ClinicalTrials.gov, col numero: NCT03191786.

RISULTATI
Tra l’11 settembre 2017 e il 23 settembre 2019, 453 pazienti sono stati arruolati e randomizzati per ricevere atezolizumab (n=302) o chemioterapia (n=151). Atezolizumab ha migliorato la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia (sopravvivenza globale mediana 10·3 mesi [95% CI 9·4–11·9] vs 9·2 mesi [5·9–11·2]; hazard ratio stratificato 0·78 [0 ·63–0·97], p=0·028), con un tasso di sopravvivenza a 2 anni del 24% (95% CI 19·3–29·4) con atezolizumab rispetto al 12% (6·7–18· 0) con chemioterapia. Rispetto alla chemioterapia, atezolizumab è stato associato alla stabilizzazione o al miglioramento delle scale e dei sintomi di funzionamento della qualità della vita correlata alla salute, come riferiti dal paziente, e a un minor numero di eventi avversi correlati al trattamento di grado 3-4 (49 [16%] su 300 vs 49 [33 %] su 147) e decessi correlati al trattamento (tre [1%] vs quattro [3%]).

CONCLUSIONI
Il trattamento di prima linea con atezolizumab in monoterapia è stato associato a una migliore sopravvivenza globale, un raddoppio del tasso di sopravvivenza a 2 anni, il mantenimento della qualità della vita e un profilo di tossicità favorevole rispetto alla chemioterapia a singolo agente. Questi dati supportano la monoterapia con atezolizumab come potenziale opzione terapeutica di prima linea per i pazienti con NSCLC avanzato non idonei alla chemioterapia a base di platino.
(Finanziamento: F Hoffmann-La Roche e Genentech Inc, un membro del gruppo Roche.)


NOSTRO COMMENTO:

Ancora una volta delle fantastiche news che mostrano la versatilità dell’immunoterapia e la sua superiorità rispetto alla sola chemioterapia standard.

Dopo 24 mesi di osservazione, i risultati di questo studio hanno chiaramente dimostrato l’efficacia dell’immunoterapico atezolizumab, dato al posto della monochemioterapia (vinorelbina o gemcitabina) in pazienti giudicati dallo sperimentatore troppo fragili per essere sottoposti alla chemioterapia standard a base di platino.  Per di più, i benefici in termini di controllo tumorale si sono avuti senza alcuna compromissione dei parametri della qualità di vita e con una nettamente minore tossicità.

C’è da dire che i risultati di questo studio sono unici nel loro genere e sarebbe opportuno attendere qualche conferma, prima di decidere un cambio definitivo della prassi medica (immunoterapia da sola invece che chemioterapia blanda, per le persone fragili affette da NSCLC inoperabile).  Tuttavia, i risultati dello studio in questione (inoppugnabili dal punto di vista tecnico formale), sono davvero allettanti ed invogliano ogni oncologo ad uno “switch” terapeutico, anche immediato, fatto caso per caso, dopo ampio approfondimento dei pro e dei cons col paziente e la propria famiglia.

Anche in questo caso, i risultati sono ancora “giovani” e bisognerà confermare la superiorità dell’immunoterapia anche dal punto di vista dell’efficacia a lungo termine.

Nel complesso, il presente studio apre un punto di svolta nella lotta contro il cancro al polmone.

Anna Muroni

direttore medico

Gianfranco Buccheri

 

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