Caro Mauro, ti ringrazio, innanzitutto, per la tua domanda che mi dà l’opportunità di parlare di una questione di cui il mio gruppo di studio ed io, in particolare, mi son molto occupato in passato (http://www.alcase.it/alcare/attivita-scientifica/).
Tu dici: “Da profano in materia, leggo comunque che il marcatore non può essere sostitutivo ad un indagine strumentale ma può solo complementarlo, avendo un certo margine di errore (falsi negativi).” Ed hai ragione. L’indagine strumentale va sempre fatta a conferma, o meno, del valore o della variazione di livello del marcatore, ma il suo significato non è affatto trascurabile e va preso in seria considerazione dal clinico. Un aumento significativo (o un valore unico di per se molto alto) dei livelli ematici di CEA e/o TPA significano quasi sempre malattia anatomicamente estesa, progressione, e/o prognosi sfavorevole.
Per darti un esempio del valore clinico dei marcatori serici, in un nostro studio pubblicato nel 1995 su Chest (http://journal.chestnet.org/article/S0012-3692(16)34981-9/fulltext), la capacità del TPA di discriminare un tumore operabile da uno inoperabile risultava sostanzialmente uguale a quello della TAC come facilmente si evince dalla tabella qui sotto (cliccando sulla quale si può ottenere il PDF di stampa originale).
PS. Per la comprensione della tabella è necessario sapere che “accuracy” in inglese vuol dire accuratezza (diagnostica), ed esprime la percentuale della somma dei casi veri positivi e veri negativi sull’intero campione.
In conclusione, l’interpretazione del CEA, TPA, e degli altri comuni marcatori tumorali di vecchia generazione è molto utile, ma riservata all’oncologo che ne abbia esperienza.
Spero di essere stato utile.
Cordialmente,
Gianfranco Buccheri
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