Gentile Dott. Buccheri,
Sono una collega affetta da neoplasia polmonare diagnosticata a maggio us. Si tratta di un adenocarcinoma polmonare stadio IV già alla diagnosi (lesioni epatiche, surrenaliche, ossee osteoaddensanti e sottocutanee) con mutazione EGFR per cui ho intrapreso terapia con afatinib. La tc tb di follow up dopo 4 mesi di terapia ha mostrato progressione di malattia ( la tc dopo due mesi aveva evidenziato una risposta mista- riduzione della massa polmonare con incremento delle metastasi-). In considerazione del possibile sviluppo di resistenza all’afatinib, è in corso la ricerca della mutazione T790M per poter intraprendere eventuale terapia con AZD9291. Qualora non dovesse esserci tale mutazione, mi chiedevo se c è indicazione a proseguire le cure con l’ adroterapia. Altrimenti quali possono essere le eventuali strategie terapeutiche?
Certa di un suo gentile riscontro la ringrazio anticipatamente.
Cordiali saluti
Dott.ssa Renata Guarneri
P.S. Autorizzo la pubblicazione
Caro amico...
Cara dott.essa Renata, la ringrazio per la concisa e diretta questione che mi pone, anche perchè mi dà la possibilità di spendere due parole sull’adroterapia, che molte persone -probabilmente- non conoscono.
L’adroterapia non è una terapia sperimentale ma una forma avanzata di radioterapia, sviluppata per trattare i tumori non operabili e resistenti ai tradizionali trattamenti radioterapici. Mentre la radioterapia convenzionale utilizza raggi X o elettroni, e la radioterapia stereotassica si basa su raggi gamma (a maggiore energia rispetto a quella convenzionale), l’adroterapia prevede principalmente l’uso di protoni o ioni carbonio: particelle atomiche, dette «adroni» più pesanti e dotate di maggiore energia in assoluto. Per questa ragione è considerata più precisa ed efficace, tanto da essere considerata una “opzione privilegiata” per certi tumori e sedi metastatiche. Per quanto riguarda l’adroterapia, si veda anche un’articolo da stampa non specializzata, appena pubblicato, che è molto chiaro e ben documentato
Nel suo caso, cara collega, speriamo davvero che sia dimostrata la presenza di mutazione T790M e lei possa accedere a uno degli inibitori EGFR di 3° generazione. Se così sfortunatamente non dovesse essere, avrei difficoltà ad avallare (da sola, almeno..) l’adroterapia come unico trattamento: da quel che capisco le lesioni son multiple e non è detto che la stessa adroterapia possa trattarle efficacemente. Certamente può essere utile per qualche sede metastatica dolorosa o pericolosa, ma unita ad un trattamento sistemico.
A mio parere, la cosa più semplice sarebbe fare un breve trattamento chemioterapico (4 – 6 cicli se ben tollerati). A volte si osservano (contrariamente all’opinione “aprioristica” di molte persone poco informate) discrete o interessanti risposte, senza grave tossicità e anzi con buona tolleranza obiettiva e soggettiva. Questa potrebbe essere anche solo un passaggio verso la terapia sistemica oggi più efficace (una volta persa l’arma degli inibitori EGFR): l’immunoterapia. Il Nivolumab già oggi può essere prescritto da qualunque oncologo in trattamento cosidetto “compassionevole”.
Infine, non trascurerei l’ipotesi di far fare uno studio più completo del genoma del suo tumore, ottenendo una biopsia su una nuova lesione facilmente raggiungibile, magari prima di iniziare il Nivolumab, e inviandola a una compagnia americana che abbiamo già verificato essere molto affidabile, la CARIS. La conoscenza di un’altro target molecolare trattabile potrebbe essere preziosa, quando e se il Nivolumab dovesse perdere di efficacia anch’esso!…
Sperando di essere stato utile, le faccio i miei più sinceri e cari auguri perché i tempi duri che si prospettano possano invece essere quelli di un’inatteso trionfo sul male che coraggiosamente combatte…
Cordialmente,
Gianfranco Buccheri.
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