Ospedale, luogo di umanità?

Ospedale, luogo di umanità?

Abbiamo ricevuto questa lettera e, pur non trattandosi di un caso di cancro del polmone, abbiamo deciso di pubblicarla, perché il caso descritto potrebbe non essere l’unico in periodo di pandemia.

Riteniamo che un ospedale debba essere per definizione luogo di “accoglienza” che si coniuga con cordialità e ospitalità, gentilezza e inclusione.

L’accoglienza è una delle funzioni a carico di tutti gli operatori sanitari.  Essa é necessaria per costruire un rapporto di fiducia e collaborazione, focalizzato sui bisogni della persona assistita e  della famiglia.  Accoglienza é aiuto e  sostegno non solo sul piano gestionale, ma anche umano e compassionevole.

La relazione del mondo della salute con il paziente è ben indicata dal verbo latino “tollo”, che ha il significato di raccogliere, sollevare ma anche incoraggiare e confortare, atti che, auspichiamo, vengano messi in pratica fin da subito da tutte le strutture ospedaliere italiane, isole comprese.

Vorrei raccontare la storia di mio cognato Maurizio, ricoverato al 4 Piano dell’ospedale Businco di Cagliari in piena pandemia.
Maury è un gigante buono con la voglia di vivere e di lottare, una lotta finita a maggio 2020 senza un come e senza un perché.
La diagnosi, a febbraio, di tumore al rene con metastasi alla colonna vertebrale lo porta all’asportazione del tumore principale, per le cure successive viene trasferito all’ospedale Businco.
La sua felicità è tangibile: essere ricoverato in un ospedale dove lui pensa che il personale abbia un dovere speciale di sostegno e supporto, ivi compresi l’approccio al malato, la gentilezza, qualche sorriso… pensa di trovare conforto e condivisione emotiva “Forza, ce la devi fare!”
I primi giorni la vicinanza della famiglia, della moglie e della figlia (il suo orgoglio) gli danno forza; i suoi amici, noi della famiglia sempre con lui lo confortiamo prestando la massima attenzione al suo benessere psicologico e spirituale, fino a quel maledetto sette marzo 2020, in cui si decide di chiudere gli ospedali.
Ciò però nella stessa struttura non è valido per tutti , perché per le persone costrette e paralizzate a letto una persona in tanti reparti viene fatta entrare.
Purtroppo nel nostro caso il primario non concede il permesso a nessuno. Premetto che Maurizio ha una sorella medico e un cognato cardiologo che sarebbero potuti entrare e dare a lui un giusto conforto, invece… per ben due mesi si trova davanti ad un muro di solitudine e angoscia.
Si trova davanti a persone che ogni volta che entrano nella sua stanza sbuffano per lavarlo definendolo Grassone, si trova davanti a persone senza un minimo di umanità… Per un uomo pacato come Maurizio, queste “visite” di infermieri, medici e primario compresi, gli sconvolgono la già poca tranquillità che gli rimane, trasformandosi in un incubo.
Abbiamo pregato di poter entrare ,abbiamo smosso mezzo mondo, ma la risposta è sempre negativa e senza motivazione razionale e incomprensibile, visto che anche nel piano 5 qualcuno entra ogni giorno.
Il giorno del suo 60mo compleanno abbiamo pregato e pianto nell’atrio dell’ospedale per poterlo vedere un minuto, un solo minuto, invano!
Il 5 maggio dalle 19 Maurizio non risponde più al telefono. Il 6 maggio chiamiamo per avere informazioni e spiegazioni , ma dall’altro capo del telefono si sente una voce che dice: Dica a sua moglie che sta bene !
Angosciata la famiglia va in ospedale: grande battaglia per entrare, la figlia Cecilia viene accusata dell’articolo scritto nei giorni precedenti a un giornale locale dove chiedeva di poter vedere il padre … (la libertà di parola al Businco non esiste?)
Vengono concessi pochi secondi a moglie e figlia e vedono il marito e il padre senza forza , neanche in grado di abbozzare un sorriso.
La cosa ancora più orribile che moglie e figlia vengono allontanate negli ultimi minuti della sua vita.
Infatti di lì a poco il dolce, caro Maurizio muore.
Dico solo: Vergogna, Vergogna!
Non ci sono parole per l’assenza di umanità in un luogo deputato al sollievo della sofferenza, in un luogo atto a prestare, in scienza e coscienza, null’altro che le cure ai pazienti con diligenza, perizia e secondo equità…
La cognata
Alberta

 

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